Teatro

Riccardo Muti al Festival di Ravenna con "Il Ritorno di Don Calandrino"

Riccardo Muti al Festival di Ravenna con "Il Ritorno di Don Calandrino"

Il 15 e il 16 dicembre viene presentato al Teatro Alighieri di Ravenna "Il ritorno di Don Calandrino", opera buffa di Domenico Cimarosa, riesumata da quel prezioso scrigno che è il Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli grazie a Riccardo Muti, che ha voluto donargli nuova vita – dopo quella lontana e dimenticata del 1778 – e grazie alle sinergie artistiche fra il Ravenna Festival e il Festival di Salisburgo. È qui, durante il prestigioso Festival di Pentecoste, che l´opera è andata in scena per la prima volta in tempi moderni; viene ora presentata a Ravenna, al pubblico italiano, nel fortunato allestimento diretto a Salisburgo dal maestro Muti e firmato dal regista napoletano Ruggero Cappuccio. Come già accaduto col Don Pasquale, allestito nel 2006, a portare in scena Il ritorno di Don Calandrino, assieme a Riccardo Muti, sarà un cast di giovani cantanti accompagnato dall’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini. Ad interpretare Livietta si alterneranno Laura Giordano ed Elena Tsallagova, Monica Tarone e Irina Iordachescu si scambieranno le vesti di Irene, Valerio sarà Francesco Marsiglia, monsieur Le Blonde Marco Vinco mentre il ruolo del protagonista sarà ricoperto da Francisco Gatell e Mario Zeffiri. Tra loro agiranno degli acrobati tuttofare, gli Arcipelago Circo Teatro – Los Febles. La parte visiva dell’opera è completata dalle scene di Edoardo Sanchi, i costumi di Carlo Poggioli e le luci di Maurizio Viani. Reduce da un viaggio in Italia, nel 1770, il grande storico della musica Charles Burney scrisse: "Solo Napoli … poteva offrirmi tutto quello che la musica può offrire in Italia, quanto alla qualità e alla raffinatezza”. E, in effetti, basterebbe guardare gli scaffali nella biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella per rendersi conto della smisurata ricchezza musicale concentratasi lungo i secoli passati nella città partenopea. E´ a tale patrimonio che ha attinto Riccardo Muti per il progetto dedicato alla cosiddetta “scuola napoletana” che, per cinque anni riporterà in luce, dopo Cimarosa, partiture di autori come Scarlatti, Paisiello, Jommelli e Hasse. L’opera che va in scena ora a Ravenna, il cui libretto è attribuibile a Giuseppe Petrosellini (conosciuto soprattutto come autore del Barbiere di Siviglia per Paisiello) e che fu presentata per la prima volta nel 1778 al Teatro Capranica di Roma, è il frutto del lavoro di un compositore che ha ormai varcato la soglia della notorietà, che si avvia ad essere annoverato tra i grandi operisti del proprio tempo (appena un anno dopo il Don Calandrino, Cimarosa avrebbe composto uno dei suoi capolavori di maggior successo, L’italiana in Londra) e che trova terreno fertile in un libretto magistralmente congegnato quanto a situazioni comiche, con un protagonista buffamente erudito, per il quale “L’Affrica è una città ch’è situata / su le coste d’America / fra Sicilia e Cariddi”, cui fanno da contorno personaggi indimenticabili come lo svampito viaggiatore francese Le Blonde, incapace di trattare lo stesso argomento per più di dieci secondi, e la paesana Livietta, che legge il Metastasio come oggi si leggono i romanzi rosa, ma che continua imperterrita a mantenere la propria cadenza dialettale nonostante le arie da signora à la page. “È chiarissimo il rapporto tra l’opera buffa e la commedia dell’arte” – dichiara il regista Cappuccio in un’intervista – e così la messa in scena sottolinea le ´maschere´ dei personaggi della commedia dell´arte, occupati in intrighi amorosi ed equivoci di una Napoli teatrale che il regista sottolinea ed evidenzia con azioni vivaci, trovate sceniche e un allestimento colorato ed ironico. Ma – afferma Muti – "la forza di quest´opera non sta nelle azioni teatrali, ma nella comicità del dialogo, delle parole". Ancora una volta, quindi, come fu per il Don Pasquale, la musica è al servizio delle parole, del loro profondo significato. E´ un’opera che ebbe il merito di sposare musica e azione drammatica: il che voleva dire far conversare tra loro più personaggi rappresentando così la vita, inventando insomma l’opera buffa e quindi gettando le fondamenta per l’opera moderna. “Un’opera di sublime bellezza” - continua il Maestro - “ma anche di grande complessità, dove il rapporto verticale tra scena e orchestra deve essere perfetto, non ammette sbavature. Occorre rigore, come sempre, ma anche un pizzico di fantasia.” Info: 0544 24211